Trasmettiamo con piacere l'articolo di
Marco Ventura, in cui tra l'altro si nota la differenza in termini di solidarietà interreligiosa e di altruismo umanitario con i recenti fatti del Mediterraneo.
L'articolo è apparso nel "Corriere della Sera" del 26 marzo.
Il Giappone del dopo Fukushima inventa l'altruismo religioso
di Marco Ventura
in “Corriere della Sera” del 25 marzo 2011
Templi d’ogni religione trasformati in centri profughi. Gruppi religiosi d’ogni credo uniti nell’aiutare chi ha perso tutto. Riti e attività piegate ai bisogni dell’emergenza. Vorremmo fosse la fotografia del Mediterraneo davanti alla crisi dei Paesi arabi. È invece la realtà del Giappone dopo terremoto e tsunami, in piena crisi nucleare. È la realtà della «mobilitazione religiosa di massa» raccontata dalla sociologa americana Levi McLaughlin per il sito Religion Dispatches. La catastrofe nipponica non ha risparmiato le religioni: molti templi sono andati distrutti, molti fedeli, monaci e sacerdoti sono morti o dispersi. Le comunità di fede avrebbero potuto ripiegarsi nel dolore. Invece hanno assolto con prontezza la loro funzione spirituale e rituale. Hanno pregato. Hanno inventato liturgie collettive per morti di cui mancava il corpo. E poi, soprattutto, le religioni hanno soccorso. I centri pastorali sono divenuti alloggi, magazzini, snodi di informazioni. Su tutto ha prevalso la necessità di raccogliere fondi, viveri e materiali. Keishin Inaba, esperto di «altruismo religioso» all’Università di Osaka, ha lanciato un gruppo Facebook in giapponese (Faith-Based Network for Earthquake Relief in Japan) per informare sulle attività religiose del post-terremoto. Le reti internazionali, non ultima la Caritas, si sono mobilitate. Così anche i gruppi buddhisti e shinto più antichi e i nuovi movimenti come Rissho Kosei-kai e Soka Gakkai. In un Paese in cui solo il 10% degli studenti universitari si dice religioso, ma dove tradizioni e riti pesano ancora, i credenti hanno scelto la spiritualità e le opere. Lo straordinario sforzo di solidarietà ha disarmato chi intendeva manipolare la fede per guadagnare voti. Quando il governatore di Tokyo ha parlato di «punizione divina» è stato immediatamente isolato e ha dovuto scusarsi. Anche la rivalità tra religioni e gli interessi dei gruppi hanno dovuto cedere il passo. Nella loro «mobilitazione religiosa di massa» i credenti giapponesi hanno saputo trasformare le differenze religiose in unità di popolo e di azione.